NICOLA PEZZELLA – Treviso
Un ragazzo giovane, un cittadino del mondo viene da pensare. Un artista e letterato che ha già all’attivo molte esperienze. Personaggio poliedrico e attivo. Nato a Treviso nel ‘68 ed ha scoperto il Perù grazie ad una persona di famiglia, peruviana, che lo ha invitato a visitare la sua terra. L’ha subito trovato fantastico ed è iniziata l’avventura.
“In Italia non riuscivo a trovare un lavoro che mi soddisfacesse. Sono laureato in Conservazione dei Beni Culturali, contemporaneamente ho studiato musica al Conservatorio. Mi sono sempre occupato di cultura e lavorato sia come scrittore e giornalista che musicista nei locali. Dopo anni di giornalismo scientifico, come caporedattore e direttore editoriale di riviste culturali, ho cercato di guardarmi attorno. Ho mandato i miei curricoli in America Latina. Dapprima ho accettato una proposta di lavoro in Messico, nel 2004, come professore di Italiano in una Università Privata, e dopo un breve ritorno in Italia, ho accettato nel 2006 di trasferirmi ad Arequipa, nel sud del Perù. Già avevo visitato il Perù nel 2001 e da grande appassionato di culture precolombiane sono rimasto affascinato dalla ricchezza dei paesaggi della sierra e dalle meraviglie archeologiche, non c’è solo l’affascinante Machu Pichu.
Arequipa mi offriva la possibilità di insegnare italiano all’Istituto Culturale Italo – Peruviano, cosa che ho svolto per qualche mese, prima di essere promosso direttore dello stesso Istituto. Qui ho trascorso un anno molto bello, organizzando mostre, concerti, conferenze e cicli di cinema. Il fine settimana, essendo quasi sempre libero, lo dedicavo alle escursioni nell’affascinante paesaggio di Arequipa e poi ho visitato quasi tutto il sud del Perù. Ad Arequipa mi sono adattato abbastanza bene perché è un modello di città simile alle nostre città storiche, con una piazza centrale, palazzi e chiese antiche, una cultura cattolica radicata e forse più conservatrice ancora di quella della nostra Italia meridionale.
La comunità Italiana ad Arequipa è piccola e ci si conosce quasi un po’ tutti. Ci si incontra alla Boveda o da Manolo per prendere l’unico caffè “decente” di stile italiano che qui si può trovare. Sarei rimasto ad Arequipa se, purtroppo, l’altitudine e il clima eccessivamente secco, non mi avessero causato continui problemi di allergia.
Io ho quasi sempre vissuto in Veneto, a Treviso, una città umida quanto lo è Lima, e il trasferimento nella capitale, in questo senso, mi ha portato molti benefici. Qui ho iniziato ad insegnare all’Istituto Italiano Raimondi, ma purtroppo, i postumi di una grave malattia, mi hanno indotto, dopo pochi mesi, a rinunciare. Ho pensato a questo punto che la ma avventura peruviana fosse finita, ma le mie mille risorse mi hanno dato un’altra possibilità.
Da sempre, infatti, il mio secondo lavoro è stato quello di musicista e cantante, anzi si potrebbe dire che è stata la principale entrata economica, che fin dai tempi dell’università mi ha permesso di pagarmi gli studi e gli sfizi. Durante un mio recital al Jokey Plaza su “Domenico Modugno e la canzone italiana degli anni ‘60”, ho avuto l’opportunità di conoscere Pierpaolo Tremedo, presidente dell’Associazione dei Sardi in Perù e con lui ho iniziato a collaborare cantando nei suoi locali a Lima. Il mio ruolo è di animare le feste ed eventi nell’Ambasciata Italiana ed in altri luoghi.
Da lì è stato tutto un crescendo: concerti alla biblioteca Nazionale, al Parco dell’Amistad, al Circolo Italiano. Inoltre, da qualche tempo, ho realizzato un progetto. Ho costituito un’Associazione Culturale, senza scopo di lucro, per promuovere e diffondere la cultura italiana nel territorio peruviano, che ho chiamato Pro Arte Italia.
Tutti i giorni, penso che è un mio dovere, oltre che un piacere, diffondere e divulgare l’arte e la cultura del mio Paese, in un luogo tanto lontano e che oggi vedo sempre più proiettato a guardare gli Stati Uniti piuttosto che la vecchia Europa. A volte è difficile. Quando si realizzano certi eventi non partecipa quasi nessuno della comunità italiana.
L’invasione della cosiddetta cultura chica, inoltre, lascia poco spazio a quella europeizzante che ha caratterizzato Lima perlomeno fino agli anni ‘60.
Quando canto musica italiana, la gente vuole ascoltare solo i vecchi successi che conosce: Nicola di Bari, Gigliola Cinguetti, Rita Pavone e poco altro. Mi devo imporre, per convincere il pubblico che, in un momento dove si ascolta solo cumbia e salsa e merengue, il mio contributo deve essere apprezzato per ciò che è, ovvero quello di un artista italiano che diffonde una cultura differente. Come ad esempio fanno i peruviani in Italia. Noi apprezziamo la musica andina e non chiediamo loro di suonare le nostre tarantelle. L’aspetto di “chiusura” che riscontro nell’ambiente sociale è palese in molte cose. Questo mi porta spesso a sentirmi “incomodo”, come si dice qui, sebbene Lima sia una città di quasi otto milioni di abitanti, qui si vive molto di apparenza, i bianchi da una parte e los cholos[1], le zone pituca[2] e i quartieri che non si possono attraversare. I quotidiani si occupano più della vita privata dei vari calciatori, degli scandali e omicidi a sfondo sessuale, che dei reali problemi di un paese che tuttavia è in grande crescita e trasformazione (positiva o negativa?).
C’è da aggiungere che essendo la città molto pericolosa e la giustizia poco efficiente, (non parliamo della corruzione della polizia e del potere politico) sono stato vittima di alcuni assalti e furti solo per il fatto di essere bianco, europeo o come mi hanno spiegato ad Arequipa, di essere paragonato a plata con las piernas tradotto: denaro con le gambe o soldi che camminano.
La maggior parte delle persone crede che, solo per il fatto di essere straniero, una persona debba avere molti soldi.
Il mio passare attraverso queste difficoltà è quotidiano ed inizia quando devo prendere un taxi, perché appena l’autista sente il mio accento, mi chiede uno sproposito e questo mi fa arrabbiare.
Vi sono aspetti positivi e negativi nel vivere nella società peruviana e credo che i due aspetti stiano in un solo elemento: la libertà. Qui la gente vive alla giornata, le strade sono piene di gente, i negozi sono aperti anche di notte e si trova tutto e il contrario di tutto. Un’enorme Disneyland dove i Casinò la fanno da padrone. In certe zone ce n’è uno ad ogni cuadra, discoteche, centri commerciali immensi e così via. Le tasse sono bassissime, le opportunità di lavoro, se non si hanno, si creano grazie alla maggior possibilità di aprire un’attività. C’è poi la possibilità di trovare tutto, musica, cd, libri spesso copiati e fotocopiati.
Insomma per chi ha tempo e vuole divertirsi questa è una società che ha molto da dare. Questa libertà eccessiva spesso sfocia nell’anarchia, nella prevaricazione, nell’indifferenza. Tutto il giorno si devono ascoltare concerti di clacson e vicini che organizzano feste fino a mattinata inoltrata. Non c’è legge che tenga, non c’è niente da fare.
Il Perù mi ha arricchito, nel senso che mi ha reso più forte, ma non indifferente, anzi vorrei dire il contrario. Ogni giorno soffro quando vedo i bambini sfruttati ai semafori o le tremende ingiustizie che, per fortuna, in Europa, abbiamo in gran parte superato.
Per questo, la mia esperienza in Perù sarà comunque temporale. Ho bisogno di un paese più simile al mio e se non ritornerò in Italia, mi piacerebbe trasferirmi ad esempio in Uruguay o in Cile, per sentirmi più tranquillo, dal punto di vista emozionale e psicologico.
[1] “Cholo” è usato senza complessi o eufemismo, con un carico di valore positivo o neutro, per definire la grande collettiva in Perù.
[2] “Pituca” è un termine slang peruviano per “chic” o “ricchi”.
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).